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Resoconto sul XIX Congresso Nazionale, Roma,
10-11 nov. 2012 |
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Gianni Fontana
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ELETTO UN NUOVO SEGRETARIO NAZIONALE
On. le Avv. Giovanni Fontana
( con il 95,8% dei voti )
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ANCHE ELETTO IL CONSIGLIO NAZIONALE
Presidente: On.le prof.ssa Ombretta Fumagalli
( eletta con 49 voti su 80 del CN ) |
Ombretta Fumagalli
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NOTA DI SINTESI. Al momento, la DC è ricomparsa "giuridicamente". A
riguardo degli uomini, essa e' quella del 1992, tale e quale in ogni senso (salvo
pochi), ma con l'obiettivo dichiarato di far subentrare presto le nuove generazioni.
E' anche emerso necessario fondare la rappresentanza popolare non più
sulle tessere, ma su indicatori oggettivi di impegno e di merito.
Nel Congresso è prevalso il
"partito delle tessere", secondo il Manuale Cencelli, imposto da alcuni
"notabili", per la composizione del Con- siglio Nazionale, così da determinarne
un impianto zoppo. Infatti, sono risultate rappresentate solo 12 Regioni, su 20 in Italia.
In particolare, poi, tra le 12, a Marche ed Emilia Romagna è stato dato 1 rappresentante
rispettivo, pur se a Campania 20, a Calabria 11, a Sicilia 9.
Sui motivi di tanto "rigore" dei
detti notabili, è ipotizzabile la preoccupazione di controllare future mosse per la
ricerca del Tesoro della DC, scomparso, e di cui qualche "pierino" ha detto ...
dal podio, ma ignorato dal tesoriere ( pur ricomparso dal podio degli intervenuti),
successore diretto di Chitarristi, a suo tempo. |
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FONTANA
: "Speranza per l'Italia e Volontà di ritrovare il cammino dei Padri, che ci hanno
guidato per quasi 50 anni
senza inganno, prima di cedere ad un declino che nessuno di noi immaginava, ma che
è avvenuto per i nostri errori,
per i quali io qui, a nome di tutto questo partito, di tutti voi, chiedo
umilmente e solennemente scusa a tutti gli Italiani". |
Dal XIX Congresso della
Democrazia CristianaRelazione del Segretario Politico On.le Avv. Giovanni Fontana§Roma
11-12 novembre 2012 INSIEME ABBIAMO RICOSTRUITO LITALIA.
. INSIEME RIPRENDIAMO IL CAMMINO.
Gentili amiche e cari amici,
siamo qui, con umiltà ma anche con convinzione, per destinare qualche soldo di cultura,
molta passione e tutto il piccolo o grande patrimonio della nostra non più verde età, a
quanti vorranno vivere insieme con noi questa "impresa possibile":
tornare ad attivare, nel cuore della società italiana, valori di tempi lontani ma non
transeunti, e a testimoniare una più responsabile e lungimirante azione politica per il
Paese.
I IL TEMPO CHE
VIVIAMO: DALLA CRISI ALLA RIPRESA
La crisi che, ormai da oltre quattro anni imperversa con i suoi tremendi
effettifinanziari, economici, sociali, morali ma che già covava da molto tempo, ha
spazzato via, ideologie, valori, tradizioni e culture; compresa quella componente storica
di liberalismo illuminato che, attualizzata con saggezza, avrebbe potuto costituire la
rivincita sulle ideologie che hanno bollato il 900 come un secolo anti-umano. Oggi,
anche in casa nostra, domina invece, un liberalismo molto diverso: è un liberalismo
cieco, un semplice "liberismo" economicistico distorsivo di ogni civile
aspirazione a giustizia e solidarietà.
Penso in concreto allavidità di quel liberismo finanziario deragliato
nellavidità delle banche americane, trasmessasi poi come un contagio a livello
planetario, compreso il nostro Paese. Oggi, negli Usa, esso è rintracciabile bene in
posizioni come quella espressa da Mitt Romney, il quale, nel corso della campagna
elettorale, aveva definito il 47% degli elettori di Obama fatto di parassiti che
pretendono lavoro, casa e sanità.
Per un partito di ispirazione cristiana e di radici popolari, come è la Democrazia
Cristiana, questo parlare dei poveri e dei deboli come parassiti è penoso. In Italia
questi "parassiti", cioè i poveri delle vecchie e nuove povertà, ingrossano le
loro file inglobandovi anche persone dei ceti borghesi che frequentano le mense della
Caritas e condividono con i barboni un dramma che non trova la solidarietà cui avrebbe
diritto anche da parte dello Stato che tale "liberismo" ha ritenuto di sposare.
Questi poveri, in genere, non frequentano gli indignados ma, a noi che li vediamo
con i nostri occhi, imprimono aghi profondi nella coscienza: interpellano il nostro
aver tradito, talvolta, in passato, il popolarismo cristiano e lidea
democratico-cristiana. Ma, soprattutto, ci sollecitano, essi poveri, a non restare
più oltre incerti nel riprendere una iniziativa di forte solidarietà e giustizia, anche
in politica.
Il fatto è che mentre lorizzonte delle possibilità umane si è venuto immensamente
allargando, in questi venti di assenza della Democrazia Cristiana dallo scenario politico,
il pensiero, la cultura, la tradizione, si sono invece venuti ritraendo: uno spazio di
grigiore è oggi sopra di noi, davanti a noi e in mezzo a noi. E noi sembriamo quasi
costretti a rifugiarci nella memoria delle cose positive e dei maestri che abbiamo
conosciuto e frequentato in passato, come a cercare qualcosa e qualcuno, che ci aliti una
rinnovata speranza e ci suggerisca un itinerario su cui riprendere a camminare con lena.
Su questo oggi siamo chiamati a riflettere e a decidere.
Sappiamo che la società ci guarda, mentre riprendiamo nelle mani questo barlume di
speranza e scrutiamo dentro di noi il cosa possiamo fare, il come operare di nuovo con
specificità, competenza, visibile affidabilità. Per noi, questo rinascere, questo,
quasi, re-indossare i pantaloni corti in età non più giovane, è come un secondo
battesimo al quale volontariamente e umilmente ci accostiamo per non essere
ulteriormente in balia della rassegnazione e della disillusione, per non smarrire il filo
di un vecchio cammino che abbiamo già percorso e che ebbe risultati anche grandi per il
nostro Paese: fin dal dramma della guerra e dal regime rovinoso che lha preceduta,
le cui macerie di distruzione e di morte hanno permesso il generarsi del risorgimento
dei nostri Costituenti.
Un risorgimento costruito insieme al popolo, per un credito di libertà e di
giustizia nella democrazia e nella solidarietà sociale, cui abbiamo saputo consegnare
conquiste che avrebbero meritato una più duratura e fertile vita.
Ma, oggi, non vogliamo celebrare gli eroi morti né le conquiste finite: agli eroi che ci
sono stati padri siamo debitori di quanto abbiamo imparato, e lonesto debitore paga
continuando i loro atti testimoniali. Così è stato fatto, sostanzialmente, da De
Gasperi Moro: ci accorti, tuttavia, a questo punto della nostra storia, di quanto
fosse impegnativa quella eredità, e difficile da gestire. Oggi ci sentiamo ancora fragili
nel riprendere in mano tale patrimonio che, in una parola, è il talento di governare
fondata su radici di forte penetrazione popolare, sociale, cristiana, non solo difficili
da estirpare ma anche molto esigenti in termini di coerenza personale: insomma una della
politica aderente alla vita e non della vita aderente alla politica.
Ci sentiamo, nello stesso tempo, decisi. Il concetto di inserire le classi popolari nello
Stato, la moralità dei comportamenti di gestione della cosa pubblica, la fermezza
di una laicità che per noi non significa confusione, né separazione, né equilibrismo,
ma cosciente responsabilità dentro la città delluomo, sono valori che desideriamo
nuovamente testimoniare con forza. Sapendo bene, come sapevano i padri, che la politica è
servizio che usa con competenza il potere per conto di chi ci ha delegato al potere e
della comunità cui il potere appartiene.
Sia ben chiaro, a noi e ai giovani cui parliamo, che non si può essere posseduti dal
potere: niente di umano può possedere luomo, né potere, né denaro, né
cultura, senza che sia rovinoso. Luomo è per laltro uomo, perché chi
possiede la nostra vita è soltanto Dio. Anche il politico deve ricordarlo ogni giorno.
In questa concezione della politica, la mediazione degasperiana e anche quella morotea,
è sempre stata allinsegna di cercare punti di contatto con chi camminava su strade
diverse. E oggi il dialogo, la ricerca di accostarsi allaltro in nome di una sempre
rinnovabile unità costruttiva del Paese, è ancora indispensabile non solo per evitare
guerre ideologiche tra le parti, lostinata condanna dellaltro, ma anche per
affermare un dialogo che non sia galateo di comportamento bensì rispetto profondo della
persona umana che occupa il suo posto nella società.
Bisogna liberarci dalla distruttiva posizione espressa dallaforisma di Sartre
"linferno sono gli altri". Per noi gli altri sono la nostra famiglia e la
nostra comunità solidale, anche quando ne percepiamo limiti ed errori, dai quali del
resto neanche noi siamo immuni. Per noi conta avere davvero nellanima il bene
comune.
Spesso ci si libera dalla propria difficoltà accusando laltro: siamo tutti
innocenti e laltro è il corrotto; non risolviamo i problemi: la colpa è
delleredità lasciataci da chi cera prima di noi. Senonché la dialettica
politica che dà frutti positivi è fatta di dialogo ininterrotto la cui esemplarità non
poggia su un "io" prepotente e sicuro, privo di prossimità con laltro.
In maniera forse un po ingenerosa, e me ne scuso, provo limpressione che
questa situazione di debolezza-incapacità suggerisca, nella situazione politica italiana,
i nomi rappresentativi di Alfano, Bersani e Casini, i quali non trovano la via
duscita per concordare una buona legge elettorale. LABC citato dovrebbe invece
suggerirci un alfabeto della democrazia del dialogo permanente; un dialogo formale e
informale, capace di valorizzare ogni spunto positivo da chiunque dei tre venga
proposto, anzi semplicemente da chiunque venga proposto.
Noi dobbiamo avere soprattutto la prossimità con chi non ha tutori ed è alla
periferia della rappresentanza politica e sociale, come chi abbandonato dalle istituzioni
è soccorso dalla carità ma aspetta di essere soccorso per atto di giustizia creduta e
praticata. La giustizia infatti è un concetto anche pre-cristiano; fu già celebrata
nellantica Grecia e poi esaltata fino allutopia marxista, oltre che espressa e
documentabile nella impostazione sociale della fede cristiana. Per questo noi, critici
verso la teologia della liberazione per i suoi eccessi privi di utilità, siamo
sinceramente impegnati in una autentica politica della liberazione, che può
trovare energie concordanti in mondi di buona volontà che vanno anche oltre
luniverso dei credenti. Una politica della liberazione, soprattutto, nei
confronti dei gruppi sociali meno abbienti e in varia misura emarginati.
In Italia, dopo la cosiddetta "prima repubblica", cè stata una
enfatizzazione di entusiasmo per il sorgere di una "nuova politica" annunciata
come liquidazione del passato e progettazione di un nuovo modello. Un nuovo modello
capace, si diceva appunto, di "liberarci" da pesantezze e inadeguatezze del
passato. In questo tentativo furono coinvolte anche personalità di buona cultura e di
buoni intendimenti penso ad esempio a Melograni, Urbani, e molti altri che
concepirono un cammino di lineare onestà in ottica di rivoluzione liberale, cioè
di liberazione: lo Stato di diritto e lo Stato dei diritti, la legalità, le scelte
selezionate dei candidati alla guida del Paese.
Ma a lungo andare - non molto lungo, a dire il vero il progetto manifestò qualche
prima crepa e poi, con frequenza crescente, crepe e crepacci fino ala caduta
delledificio. Il fenomeno Berlusconi non poteva resistere al peccato di origine del
suo populismo: in realtà una deviazione del concetto di popolo sovrano e partecipante.
E stato un populismo bisognoso di carisma da ubbidire più
che da condividere, di fedeltà di militanti più che di lealtà di compartecipi, di
una capacità di comunicazione politica che accetta di recitare promesse impossibili più
che impegni reali. Ne ricordiamo una fra le molte: Meno tasse per tutti; una
promessa che, così scriteriatamente espressa, tradurrei nellespressione
"evasione per tutti", che ne è leffetto pratico |
Silvio Lega:
"No a una
DC, partito".
.
"Sì a DC,
movimento" |
|
Silvio Lega |
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Membri
|
del Consiglio Nazionale
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Calabria |
Barbuto Nicola |
Calabria |
Colavolpe
Salvatore |
Calabria |
Cupi Vincenzo |
Calabria |
Donato Angelo |
Calabria |
Nisticò
Giuseppe |
Calabria |
Oliverio
Caterina |
Calabria |
Ripepi Massimo |
Calabria |
Squillace
Francesco |
Calabria |
Straface
Antonio |
Calabria |
Vazzana Carmelo |
Calabria |
Deseptis
Fiorella |
Campania |
Boffa Aldo |
Campania |
Brancaccio
Valeria |
Campania |
Cirino Pomicino
P. |
Campania |
Cuofano
Pasquale |
Campania |
Della Corte
Giovanni |
Campania |
Ferraiuolo
Luigi |
Campania |
Ferraro Roberto |
Campania |
Fiorenza
Nazzareno |
Campania |
Grippo Ugo |
Campania |
Nunziante
Maurizio |
Campania |
Pelosi Daniele |
Campania |
Picano Angelo |
Campania |
Polizio
Stanislao |
Campania |
Ravaglioli
Marco |
Campania |
Rodondini
Vincenzo |
Campania |
Scala Raffaele |
Campania |
Troisi Nicola |
Campania |
Bocchio
Isabella |
Campania |
Lombardo Maria
R. |
Campania |
Mazzitelli
Giovanni |
Emilia |
Duce Alessandro |
Lazio |
Alfano Giulio |
Lazio |
Darida Clelio |
Lazio |
Di Sangiuliano
Giuseppe |
Lazio |
Marinangeli
Alessandro |
Liguria |
Adolfo Vittorio |
Liguria |
Faraguti
Luciano |
Liguria |
Gaggero Gergio |
Liguria |
Tanzi Carla |
Liguria |
Gallina
Gabriella |
Ligurìa |
De Gaetani Gian
Renato |
Lombardia |
Abbiati Achille |
Lombardia |
Baruffi Luigi |
Lombardia |
Cazzaniga
Sergio |
Lombardia |
Cugliari Emilio |
Lombardia |
Donato
Salvatore |
Lombardia |
Fumagalli
Ombretta |
Lombardia |
Generoso
Serafino |
Lombardia |
Ravelli Roberto |
Lombardia |
Galli Anna
Maria |
Lombardia |
Soncina Greta |
Marche |
Morgoni Vinicio |
Piemonte |
Aceto Piero |
Piemonte |
Brustia Adelmo |
Piemonte |
Deorsola Sergio |
Piemonte |
Lega Silvio |
Piemonte |
Mazzucco
Francesco |
Piemonte |
Mussa Fabrizio |
Piemonte |
Sartoris
Riccardo |
Piemonte |
Pavesi Negri
Gabriella |
Puglia |
Cattolico
Antonio |
Puglia |
De Leonardis
Giovanni |
Puglia |
Di Giuseppe
Cosimo |
Puglia |
Donatelli
Francesco |
Puglia |
Fago Antonio |
Puglia |
Lisi Raffaele |
Puglia |
Palermo
Francesco |
Puglia |
Roberto Erminia |
Sicilia |
Alessi Alberto |
Sicilia |
Brancato
Antonino |
Sicilia |
Caponetto
Francesco |
Sicilia |
Cappadonna
Michele |
Sicilia |
De Vito Bruno |
Sicilia |
Grassi Renato |
Sicilia |
Pulvirenti
Antonio |
Sicilia |
Torre Carmelo |
Sicilia |
Di Quattro
Maria G. |
Toscana |
Bindi Marco |
Toscana |
Camaiti Maria
Pia |
Toscana |
Pizzi Piero |
Toscana |
Puja Carmelo |
Veneto |
Bonalberti
Ettore |
Veneto |
Bontorin
Fulgenzio |
Veneto |
Bottin Aldo |
Veneto |
D'Agrò Luigi |
Veneto |
Fregonese
Silvio |
Veneto |
Malvestio Pier
Giovanni |
Veneto |
Milani Luciano |
Veneto |
Zanforlin
Antonio |
Veneto |
Panin Maria
Grazia |
Veneto |
Zanferrari
Gabriella |
Cons.Reg. |
Nucera Giovanni |
Deputato |
Gargani
Giuseppe |
_________
TOTALE |
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94 |
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NINO LUCIANI, Il Commento. 1.- Premessa. Il XIX Congresso
della DC (il XVIII fu il 17 febbraio 1989), celebrato a Roma il 11-12 novembre 2012, ha
mostrato due facce:
a) un Congresso ufficiale, in cui vedevi:
- un Segretario Nazionale (On.le Avv. Giovanni Fontana), 68 anni,
uomo buono, colto, di grande sensibilità, largo di vedute, acuto nel vedere il granello
"significativo", un discorso durato due ore. Mi sono ricordato il livello e gli
svolazzi di Aldo Moro;
- una sala stracolma ( la sala della Confindustria, a Roma, non
meno di 1000 persone, inclusi gli invitati), gente semplice carica di valori, che ha
seguito attentamente il Segretario, lo ha applaudirlo ripetutamente a scena aperta, e
anche interrotto con "parole" di enfatizzazione di singoli concetti.
b) un congresso nelle segrete stanze, dove
veniva contrattata e redatta la lista dei candidati (80) al Consiglio Nazionale. Qui
vedevi un andirivieni continuo di notabili e di chiamati e mettere la firma di
accettazione della candidatura.
Chi erano questi "notabili" ? Erano i notabili dell'ancien
règime, quelli del partito delle tessere. Non ho motivo
togliere un solo capello di stima alle singole persone elette. Ma avendo, alcuni
"notabili", imposto il Manuale Cencelli per le candidature regionali, ne è
uscito un impianto complessivo di Consiglio Nazionale, zoppo per la DC. Su 20 Regioni,
solo 12 hanno ottenuto la rappresentanza. E delle 12, Marche e Emilia Romagna è stato
dato 1 solo rappresentante, rispettivo (anzi quello dell'Emilia non è stato indicato dal
gruppo della E.R., ma dai "notabili").
E' offensivo definire i "notabili" come "partito delle
tessere" ? L'On. Paolo Cirino Pomicino, che ha fortemente condizionato il
Congresso, mi ha chiarito che, pur con qualche ombra, il fondare (sulle tessere) la
rappresentanza del popolo democristiano è il modo più democratico.
Ma chiunque io incontrassi per strada (fuori dal Congresso, e dappertutto in
Italia), e gli raccontavo che è stato applicato il Manuale Cencelli, lo vedevo andare in
escandescenze. Tutti hanno, infatti, ben presenti i fatti che originarono un "declino
inimmaginabile della DC" (parole della Relazione del Segretario), e che si
impose perchè la DC non trovo' la forza di auto-pulirsi.
Al contrario, in Germania, vicende simili (a carico del Cancelliere
Helmut KOHL) furono risolte velocemente: mandato a casa senza complimenti, pur avendo
grandi meriti politici verso la Germania (unificazione) e verso la Unione Europea (Euro).
E infatti la DC tedesca è ancora in parlamento, e oggi al Governo.
Credo che, per l'Italia, l'esempio tedesco vada applicato
rapidamente, senza scusanti.
Approfondiamo questa ricomparsa dei "notabili", dacchè la allora
umiliazione della DC (a prescindere che si tratti di un partito o di altro partito) pare,
ancora nel 2014, uno scotto insufficiente.
Ma, da altra parte, mi è sembrato molto potente e condiviso dal
popolo dei congressisti il comune sentire dei valori, e l'entusiasmo, intorno al
Segretario Fontana.
Questo è un buon viatico per l'ottimismo nel futuro. Il mezzo, per essere
vincente, potrebbe essere di fondare la rappresentanza su cosa diversa dalla
"tessera": su questo torno più avanti.
2.- Distinzione tra una
DC di interessi legati al potere politico e una DC di valori cristiani e laici liberali.
a) Premessa. Il fatto che la DC, come un qualsiasi partito
si possa proporre nel 2014, è fuori discussione, come diritto costituzionalmente
garantito a chiunque.
Ma il punto da affrontare in premessa è altro: chiarire se, mancando
nel parlamento italiano (ed europeo), un partito dei cristiani (cattolici, ortodossi,
protestanti, giudei) e dei laici liberali (cosa diversa da un partito cattolico,
subalterno alla Chiesa Cattolica), venga a mancare in Italia un pezzo di storia, una pietra
miliare.
La stessa domanda mi sono fatto per il PCI (diciamo per i due grandi partiti
del Socialismo italiano), scomparsi nel 1992.
Non ho risposte certe. Ritengo, però, che, dopo il venire meno della DC e
del PCI (e del PSI) nel 1992, in Italia è venuto meno lo Stato, e ci siamo trovati nelle
mani di partiti senza il senso dello Stato, con grave danno per la coesione
sociale intorno alle grandi idee alternative, su cui fondare il governo del Paese.
La via verso l'alternativa tra due grandi partiti nazionali è un
percorso che non inizia da zero e lo vediamo nel fatto che il PD si pone alternativo al
PDL (a parte se l'inserimento dei nostri giovani nella dialettica politica varra'
a riabilitarli o a disintegrarli, rispettivamente. Mi riferisco a Beppe
Grillo, a Matteo Renzi e a tanti altri giovani comparsi di
recente sui mass media).
b - No a una
DC, che produce germi corruttivi, tipici delle dittature. In generale parlando, una dittatura non è forte primariamente
per il potere di polizia o dell'esercito. Ne sappiamo qualcosa, in Italia, senza bisogno
di guardare alla Tunisia, alla Libia, alla Siria. Il potere dittatoriale, dopo il primo
colpo di mano (magari militare), cerca di catturare il consenso sociale con vari privilegi
a "parte della popolazione".
Poi, quando nel seguito, la dittatura fosse contestata, saranno costoro a
sostenerla, per non perdere privilegi.
In questo senso la tessera, legata ai poteri, è il germe corruttivo
della dittatura dentro la società civile.
3.- Una ipotesi che
può spiegare il ritorno del partito delle tessere. La DC non è oggi un partito di potere, per cui è difficile
spiegare questo ritorno del partito delle tessere.
Nelle nuove condizioni, la via, più naturale per creare la nuova
rappresentanza, pur se collegata giuridicamente agli iscritti del 1992, doveva essere di
ripartire la rappresentanza proporzionalmente al lavoro da fare nelle Regioni: ad es., in
proporzione alla popolazione regionale.
Poi, dopo le prime elezioni (con scudo crociato), si potrà anche premiare il
merito dei dirigenti locali, ad es. ripartendo, in parte, i posti sulla base dei voti
riportati nei Consigli Comunali della Regione.
Ma non
è andata così. E allora
perchè tanta "diligenza" di "alcuni" notabili nella ricerca di
"tessere del 1992" ?
Una ipotesi plausibile è collegarla ad una "ombra" vagante nella sala
del Congresso, quasi la "ombra" un morto (ma che "morto" non era,
aveva detto la Cassazione).
L'ombra era un pensiero fisso al "Tesoro della DC", scomparso a suo
tempo, su cui qualche "pierino" ha anche fatto domande dal podio.
Forse qualcuno ha la mappa del luogo del tesoro, come i briganti della "Isola
del Tesoro" , il romanzo di R. L. Stevenson.
Ipoteticamente, potrebbe trattarsi di qualcuno che vuole rintracciare il
Tesoro per mettervi le mani sopra, o di qualcuno (cosa più probabile) che punta a
sciogliere il partito della DC, e crearvi un successore , come si fa per le moderne
società di capitali (far sparire i debiti, e ricominciare da capo).
Perchè
il Tesoriere, che è successore diretto di Chitarristi, non ha fatto chiarezza su questo
"Tesoro" ? La
domanda è ineludibile, prima o poi. |
tendenziale; mentre
responsabilità davvero sociale e liberante avrebbe dovuto dire: Tasse eque per tutti
nella trasparenza assoluta, pubblica, permanente, del loro utilizzo. Così, se
dopo "tangentopoli" abbiamo conosciuto la fine della "prima
repubblica", non molto tempo dopo abbiamo dovuto constatare anche il rapido crollo
della seconda. Sono, a questo proposito, sollecitato a insistere sulla importanza di una
memoria storica positiva e fertile, e penso che in tal senso la relazione
Costituzione-democrazia-partecipazione-rappresentanza-solidarietà sia l"impresa
impossibile" che siamo chiamati a far diventare possibile. Dimenticata la
Costituzione, inquinata la democrazia, tra populismo e nuove forme di ribellione politica
e di protesta antipolitica, traballante limpalcatura delle istituzioni dove la
corruzione e la malversazione sembra assurta a prassi quotidiana accettata, la
rappresentanza pare impigliata in una rete che non pesca qualità adeguate ad affrontare
il dramma della crisi che stiamo vivendo.
Il mondo ci guarda, lEuropa ci osserva ed anche lanti-europeismo cresce,
mentre strisciano venature di neo-nazionalismo: in un paese dellAbruzzo sono stati
multati coloro che cantavano "Bella ciao"; in altri paesi di diverse regioni
sono state aperte strade intitolate a vecchi gerarchi fascisti; ci sono monumenti della
rimembranza e sacrari di "eroi" della guerra in Etiopia; e altro e peggio. Segnali
che ci pare non possano essere tollerati ma, prima ancora di essere combattuti, vanno
profondamente analizzati.
E stato detto per paradosso che oggi, se qualcuno si sognasse di fare unOpa
sullItalia, lasta andrebbe forse deserta: eppure lItalia è
tuttaltro che da rottamare; la ricchezza privata assomma almeno a ottomila
miliardi, il made in Italy è vivo e richiesto ampiamente, il turismo richiama
ancora un flusso ininterrotto di visitatori, le riserve auree sono solide, il reticolo
delle piccole imprese è tuttora quasi unico al mondo, molte nuove microimprese sorgono
anzi per iniziativa di giovani, e testimoni di vita esemplare circolano fra noi, li
vediamo nel nostro quotidiano muoverci tra le strade e i luoghi di lavoro.
Questa è la riserva sana del Paese reale: e allora le due Italie, quella dei poveri, dei
disoccupati, dei precari, dellAlcoa e dellIlva, e quella che, dallaltro
lato, rappresenta la parte non toccata dalla crisi ma pensosa del futuro e desiderosa di
assumersene la responsabilità, chiedono insieme una politica di nuova adeguatezza
testimonial, per una speranza di più lunga gittata.
La Democrazia Cristiana sceglie di farsi carico di questa speranza non già seminando al
vento promesse che non si possono fare, ma affidandosi con onestà e fattività a nuove
generazioni e ad antichi valori, come chi passa un simbolico testimone degli anni
gloriosi della ricostruzione e dei partiti politici che seppero camminare con passo
sicuro e adeguato alla gravità dei problemi da affrontare.
Se questo è il quadro che ci è dato vivere, quale è la nostra specifica
responsabilità? Il nostro compito è quello di riaprire lo spazio della speranza e
della concretezza operosa per una testimonianza di impegno politico che riprenda i
valori della nostra storia popolare e democratico-cristiana e sappia liberarli a una nuova
luce e a una nuova capacità realizzativa. II - PERCHE DC
Una volta finita, anche malinconicamente, lesperienza della Democrazia Cristiana
storica, avevamo sperato che la memoria collettiva del Paese avrebbe conservato i grandi meriti
del partito di De Gasperi e Moro e compreso gli errori di percorso della sua ultima
fase. Avevamo sperato che da quella grandiosa e umiliante esperienza, il Paese, i suoi
cittadini di buona volontà, avrebbero imparato molto. E avrebbero imparato anche dalle
esperienze degli altri partiti che si andavano consumando come il nostro, dopo quasi mezzo
secolo di vita repubblicana grande ma anche, spiritualmente, ormai prosciugata nelle anime
delle classi dirigenti.
In modo più specifico, avevamo sperato che sulle ceneri del nostro lavoro avrebbero
potuto sorgere due grandi partiti moderni, uno di centrosinistra ed uno di centrodestra, uno
di spinta progressista e uno di moderazione liberale, capaci di ereditare il lato
migliore di quella storia e di darci la fase adulta e compiuta dellItalia: un Paese
solido e serenamente capace di governare la propria crescita nella partecipazione e nella
solidarietà.
Avevamo sbagliato questa previsione. In effetti, senza far torto alla presumibile buona
volontà di tanti singoli, ci sentiamo di dire che le nostre attese sono state
totalmente deluse.
Non è nato un partito democratico di centrosinistra capace di
amalgamare il grande messaggio popolare e solidale della DC con laltrettanto
importante anelito di giustizia distributiva dello storico Partito Comunista: due anime
che mai si sono fuse nella armonica capacità di generare un partito di alta cultura
sociale riformatrice. Lassismo nellimpegno di rinnovamento del pensiero,
sottovalutazione dei fattori di complessità emergenti sulla fine del secolo appena
trascorso, preoccupazioni contingenti di equilibri fra gruppi, fretta di successi
elettorali contro avversari aggressivi e sicuri di sé
Forse qualcosa di tutto
questo ha giocato un ruolo nefasto: e ha generato la prima delusione per le speranze di
una responsabile democrazia dellalternanza.
Sul versante del centrodestra le cose sono andate anche peggio: insieme alla
mancata maturazione di una classe dirigente degna di questo nome, si è realizzato lo
sfacelo educativo e morale di una politica ridotta a messaggio di marketing
delleffimero in ogni sua manifestazione. Le poche persone di sincero pensiero
elaborante le abbiamo viste progressivamente lasciate ai margini dei luoghi decisori; la
leadership carismatica labbiamo vista ridotta a una inquinante commistione di
aziendalismo privatistico con libertinismo diseducativo; la linea programmatica sottomessa
a una dominanza economica che si è rivelata esasperatamente finanziaria e speculativa. Ed
è stata la seconda delusione.
Infine il centro. Nella zona che sul piano ideale avrebbe avuto le condizioni più
adatte a preservare anche una quota decisiva del messaggio storico della Democrazia
Cristiana, si è palesato il protagonismo di un partito che di fatto non è mai riuscito
ad aggregare né tradurre in politica organica alcun pensiero. Un improduttivo
oligarchismo che non ha mai respirato lossigeno impegnativo ma anche corroborante di
una partecipazione davvero popolare. Ed è stata la fine di una ulteriore speranza.
Tacciamo, da ultimo, di quanti, piccolissimi gruppi che non è appropriato chiamare
formazioni politiche, hanno cercato di insinuarsi, anche con buona volontà almeno
iniziale, in questo gioco ormai senza radici e senza prospettive, e del tutto più grande
delle loro possibilità. La idea di una "Italia dei valori" è diventata un dipietrismo
che oggi palesa anche nelle aule giudiziarie la confusione deleteria fra partito di
cittadini e gruppo personale; un grillismo che anela lodevolmente a far emergere
con forza la voce di chi dallestrema periferia dellelettorato reclama il suo
diritto a essere ascoltato, ma finisce in una protesta amebica incapace di tradursi in
risposta collettiva e nazionale ai problemi collettivi e nazionali; una sparpagliata ex sinistra
estrema, che a merito della sua annosa agitazione può vantare soltanto il risultato
di aver fatto cadere un governo Prodi che pure testimoniava uno sforzo sincero di
ricollegare la politica con il sentimento della gente; i resti di una gruppuscolare
destra riottosa che avendo trovato spazio risibile nella effettiva determinazione
degli orientamenti politici del Paese si è trovata a dialogare - contraddizione finale e
quasi irridente - con il leghismo separatista; il quale a sua volta non ha tardato a
testimoniare la miseria morale che ne attanagliava le intenzioni e i comportamenti, anche
negli uomini che avevano fatto consistere lunica loro bravura nel rimproverare agli
avversari i medesimi comportamenti.
Le sorprese più recenti sono Montezemolo, Riccardi, Bonanni e tante personalità della
società civile che hanno elaborato il loro manifesto: non un partito, non un movimento:
un mondo di proposte politiche, una realtà dopo tante delusioni, una specie di gruppo di
pressione fattosi coscienza critica del potere: un patto per una nuova politica. Più che
notabili, uomini di rango: non pensiamo che abbiano qualche piccola venatura di
popolarismo.
Il risultato è che non cè classe dirigente, oggi, nel nostro Paese, non cè
un pensiero espresso dalla politica sul suo futuro, non cè una cultura di gestione
e non cè una consapevolezza valoriale. Fino al punto che si è dovuto ricorrere
allespediente, legittimo e onesto ma tremendamente allarmante, di un governo
tecnico incaricato del puro e semplice ritorno a una normalità minima che di fatto è
solo la normalità della gestione formale del bilancio dello Stato. Questo è infatti in
sostanza il governo Monti, nonostante la buona volontà di diversi suoi esponenti e
nonostante la indiscussa competenza e correttezza dello stesso Presidente del Consiglio,
il quale, in un quadro così difficile, è riuscito comunque a restituire al mondo una
immagine più credibile e affidabile del nostro Paese.
Ed è per un atto di consapevolezza piena, e di buona volontà responsabilizzatrice di
fronte a tanto scempio e a tanta ombra sul futuro, che noi oggi siamo qui, a pensare in
termini di ripresa dellazione della Democrazia Cristiana per lItalia.
Oggi, siamo convinti che lItalia abbia più che mai necessità di "democrazia
cristiana": con la lettera minuscola e, insieme, con la lettera maiuscola.
Con la lettera minuscola, come sostantivo e aggettivo, nel senso che questo nostro Paese
ha bisogno di riconquistare democrazia vera e partecipata: solo così la politica può
giustificare il suo potere, le sue contese.
Attorno al ludibrio della vigente legge elettorale si è ridotta infatti quasi a zero la
pratica della democrazia e della relativa motivazione degli animi nella scelta della
classe dirigente; e ha bisogno di cristianesimo ispiratore, vissuto con coerenza per il
bene della "città delluomo" che ci è affidata: di cristianesimo come
lievito di valori che torni a fermentare una società in cui la centralità non sia
più quella della finanza che domina leconomia e delleconomia che domina
limpresa costringendola a non essere una comunità di lavoro per inseguire un
concetto di business eretto a mostro totemico contro la dignità della persona sancita
dalla Costituzione ma anche dal semplice diritto naturale.
Neanche il diritto naturale può infatti concepire il licenziamento collettivo di migliaia
di persone attraverso una e-mail spedita da migliaia di chilometri per effetto di una
notizia battuta in un nanosecondo sulla diminuzione di valore della quotazione di
unimpresa, in un mercato finanziario distante a sua volta migliaia di chilometri.
Questa "efficienza capitalistica" reputiamo, senza mezzi termini, sia figlia del
Male, Uno strumento di peccato, come recita la "Populorum progressio",
radicalmente incompatibile con la nostra visione di umanesimo e di personalismo, che
allabbrivio del ventunesimo secolo, riproclamiamo, entrambi, come permanentemente
nostri; e che sono la semplice, grande ed impegnativa eredità lasciataci dalla Dottrina
Sociale della Chiesa e dallidea democratico-cristiana.
Entrambe ci hanno lasciato ben diverso insegnamento: dalla Rerum Novarum alle
successive encicliche sociali, da monsignor Ketteler ad Antonio Rosmini, dalla Scuola di
Friburgo al Codice di Camaldoli, dal Compendio della Dottrina Sociale della Chiesa alla Caritas
in Veritate, questo insegnamento ci parla costantemente e puntualmente della liceità
del mercato ma anche del suo necessario ancoraggio a finalità morali, di diritto
indiscutibile a condividere i frutti dellimpresa fra tutti, di salario di dignità
per ogni famiglia, di illiceità della pura rendita e della pura speculazione
Ebbene, cè necessità che più democrazia cristiana, con questa lettera minuscola,
trovi al suo servizio, con forza, lucidità, sincerità morale, capacità tecnica,
accortezza politica, una rinnovata Democrazia Cristiana con la lettera maiuscola:
cè necessità che una grande associazione di cittadini "liberi e forti"
torni a generare una politica alta secondo la "nostra" Costituzione;
"nostra" perché ispirata proprio dal pensiero democratico cristiano, da De
Gasperi e Dossetti, da Gonella e La Pira, da Fanfani, Moro e Lazzati, e di nuovo indietro,
nei principi di riferimento, fino a Sturzo e Grandi e Miglioli e altri. E la faccia
diventare politica di rinnovamento potente e di rinfrancata solidarietà, di centralità
del lavoro e della impresa come comunità di lavoro, di processi formativi capaci di
rinforzare valori di libertà e di solidarietà fattiva: insomma, di comunità solerte e
rasserenante per tutti.
LItalia è infatti una comunità, innanzitutto; non una società per
azioni ad azionisti dispari, bensì una comunità di cittadini e persone che
hanno uguale dignità, servite da istituzioni fatte da tutti e da tutti partecipate, con
una economia al servizio di tutti e da tutti realizzata. E con le giovani generazioni come
primo tesoro da far crescere secondo responsabilità e autorealizzazione.
III - UN PROGETTO DI VALORI
Non temiamo la sfida perché, più tipicamente di ogni altro partito, la Democrazia
Cristiana possiede nella sua ispirazione valoriale una visione adatta a questo obiettivo
totale: totale nella sua pregnanza interna ed anche nella sua potenzialità diffusiva
oltre il nostro Paese, nella più vasta comunità costituita dallEuropa, dal
Mediterraneo, da un mondo che si è fatto sempre più villaggio comune; ricordo, fra
laltro, che di "internazionale dei democratici cristiani", con questo
spirito diffusivo e pregnante, si parlava già fin dai primi del 900 fra i cattolici
che, prima ancora che germogliassero il Partito Popolare Italiano e la Confederazione
Bianca del Lavoro costituivano i primi nuclei democratico-cristiani.
Ponte mediterraneo e crocevia planetaria, lItalia può tornare a essere, non solo
nei traffici economici, un Paese al quale il mondo può guardare come a una sua casa
simbolica di riepilogo collaborativo e di sintesi valoriale. Se la sede romana della
Chiesa cattolica rappresenta questo valore dal punto di vista religioso, la Roma
precristiana e lItalia universalistica di Dante e del Rinascimento possono
rappresentarlo dal punto di vista della unità tendenziale degli aneliti di realizzazione
umana complessiva; e il grande messaggio che da Rosmini passa a Sturzo, a De Gasperi, a La
Pira, a Moro, può rappresentarlo per il cammino di una città terrena che sappia
condividere il benessere, frutto della fatica comune, fra tutti gli uomini in questo
ventunesimo secolo ultraveloce e ultracomplesso.
Essere custodi attivi di questo patrimonio esige daltro lato che la forma e la
concreta gestione quotidiana del Paese, e la stessa modalità di essere e di operare come
partito, abbiano connotati di qualità alta.
I capisaldi di una tale politica ci sembrano almeno cinque:
La nostra Costituzione repubblicana, carta di principi e di valori da salvaguardare
con fedeltà, non chiusi aprioristicamente a ogni eventuale possibilità di affinamento,
ma lontani da quella frenesia inconsulta che ha portato a rivedere negli anni recenti il
suo Titolo V, con una superficialità che testimonia, accanto a intenzioni illusorie, la
inadeguatezza di una classe politica incapace di cogliere la grandezza dei padri
costituenti e di custodirla migliorandola: anche attraverso una nuova fase costituente
che, riteniamo necessaria per adeguare la sua seconda parte ai profondi cambiamenti
intervenuti sul piani istituzionale europeo e nazionale.
Uno Stato snello e partecipato, efficiente sul piano nazionale, arricchito da
autonomie territoriali in chiave di sussidiarietà e non di dissociazione
pseudofederalista; garantito da un intercontrollo democratico senza retoriche di
autonomismo fine a se stesso, spesso corrotto non meno di quanto esso stesso abbia
rimproverato allo Stato centrale; e, quasi sempre, colpevolmente incapace di utilizzare
persino le cospicue risorse economiche messe a sua disposizione dallEuropa.
La valorizzazione permanente e dinamica dellimmenso patrimonio culturale e
ambientale affidatole dai padri e dalla Provvidenza: almeno la metà dei beni
culturali di cui lumanità dispone è incredibilmente concentrata nel nostro Paese,
e questo solo fatto costituisce per noi "una missione nella missione" e quasi
una vocazione profetica.
Una cura gelosa della culla in cui nascono e si formano le nuove generazioni, cioè la
famiglia, attraverso la dedizione di uno Stato solerte nel favorirne solidità e
serenità, soprattutto con gli strumenti propri della sua missione formativa,
dellattivo supporto alle generazioni che declinano, affinché tale fisiologico
crepuscolo non diventi mai emarginazione né accantoni il tesoro della esperienza che si
trasmette; uno Stato che sappia garantire la sicurezza di un lavoro dignitoso per tutte le
persone che raggiungono letà adulta e si apprestano ad assumere, della famiglia, la
responsabilità più diretta.
Il governo sagace di una economia che ha oggettivamente potenzialità enormi, e che
anche nella presente crisi conferma di possedere nella creatività dei singoli e nel
tessuto della piccola e media impresa la sua linfa più vitale.
Con quali linee di orientamento pensiamo sia articolabile un simile
progetto?
Non parlo volentieri di riforme, e non perché la cultura democristiana sia aliena
dallidea di farne o perché non ne abbia realizzate le più coraggiose nella
storia del nostro paese portano la firma della Democrazia Cristiana, a partire dalla
grande riforma agraria di Antonio Segni poco dopo la nascita della repubblica ma
perché, a un certo punto della dialettica politica, il riformismo ha cominciato a vivere
quasi fosse un fine in se stesso: ma né il riformismo né le riforme sono un fine; essi
sono un mezzo, attraverso il quale la nostra quotidiana analisi della coerenza fra
"progetto paese" e realizzazioni concrete viene verificata e coerentemente
attuata; facciamo le riforme se servono e in quanto servono, ma non le adoriamo come
idoli, e le sottoponiamo costantemente a verifica perché restino effettivamente al
servizio dei valori che le ispirano.
Preferiamo parlare piuttosto di "gestione evolutiva" trasparente e
condivisa, capace cioè di governare dinamicamente le esigenze di miglioramento
permanente delle cose, senza rinviare ai tempi spesso deresponsabilizzanti di maturazione
delle "riforme": queste, quando davvero occorrono, devono essere consapevoli,
ponderate, impegnative di coerente attuazione, e non mito autoreferenziale.
Questo è il compito della politica disegnato dalla Costituzione italiana. E tale è, come
la Costituzione lo regola, anche lo strumento dei partiti politici, mezzo
privilegiato attraverso cui i cittadini partecipano al farsi del dibattito, alla
determinazione delle scelte, alla formazione della classe dirigente, e insomma alla
gestione del paese. Non temiamo, anzi decisamente vogliamo, un partito giuridicamente
riconosciuto, persona giuridica e perciò sottoposto a controllo pubblico nella sua
trasparenza di gestione.
In realtà i partiti politici operanti oggi hanno, via via, ignorato questo spirito
costituzionale per accentuare invece elementi crescenti di chiusura oligarchica, ben poco
democratica e partecipativa. Le ombre della corruzione e del clientelismo, quasi i partiti
stessi e i loro uomini fossero appunto fini e non mezzi, hanno realizzato, da ultimo, quel
nefasto distacco dei cittadini dalla politica che oggi enfatizza la sua gravità
attraverso una legge elettorale che chiude del tutto i partiti dentro se stessi quali
forme autoreferenziali di gestione del potere.
Con quale metodo pensiamo dunque di lavorare?
Innanzitutto con quello della partecipazione vera e diffusa. Pare espressione
scontata e banale, questa della partecipazione, ma essa viene in realtà ogni giorno
pronunciata e ogni giorno di nuovo tradita. Così come la partecipazione di tutti i
cittadini consente di costruire una logica di armonizzazioni progressive nel cammino di
crescita della società complessiva, analogamente la partecipazione di tutti i soci consente
al partito di essere punto di traduzione affidabile della domanda e delle attese del
paese.
I punti di partenza per noi sono certi: la Costituzione, la cittadinanza, la persona.
Essi meritano di essere confermati ma anche approfonditi in tutta la loro portata
potenziale: tanto più che nellItalia del ventunesimo secolo ci sono i cittadini e
cè, con loro, anche un numero crescente di persone in attesa di cittadinanza.
Persone provenienti dalle più diverse nazioni del mondo, o loro figli, che non
costituiscono più casi isolati ma un fatto sociale ormai strutturale: anchessi
diventano parte della nostra comunità, lo diventano in senso oggettivo: chiedono spazio
che non può essere loro negato se crediamo in una società di ispirazione cristiana. Il
problema è di fare in modo che lo spazio sia equo e i diritti, come i doveri, reciproci.
A questa condizione non si può negare lordinata e trasparente osmosi demografica,
non solo perché essa caratterizza da sempre i processi di sviluppo di ogni società
storica, ma perché la stessa grandezza della nostra civiltà italiana è germogliata e si
è sviluppata dal multiforme, secolare apporto di tali risorse.
IV IL FONDAMENTO DEL LAVORO, LA DIGNITA DELLIMPRESA, LA
SOLIDARIETA DELLECONOMIA
Subito dopo la cittadinanza, è il lavoro a costituire prioritario fondamento della
repubblica. Tale lo definisce la carta costituzionale, e si riferisce al lavoro in
tutte le sue forme, dipendente o autonomo o imprenditoriale che sia, manuale o
intellettuale.
Non sono invece fondamento della repubblica la rendita, né lattività
speculativa. Siamo qui in un campo che, fin dal medioevo, la Chiesa ha
chiarissimamente presente. La pura rendita e la pura speculazione sono un male, sono
illecite moralmente, e per noi questo principio comporta conseguenze coerenti sul piano
delle politiche attive, anche di redistribuzione reddituale e, ad esempio, di carico
fiscale.
La ricchezza nazionale resta essenzialmente frutto del lavoro e il lavoro, diritto e
dovere delluomo, è, per la Democrazia Cristiana, oggetto privilegiato di ogni
politica economica. Per tale motivo un punto caratterizzante il nostro "progetto per
lItalia" non può non essere costituito dalla revisione dellistituto
del collocamento, che ci pare da trasformare in istituto
dellaccompagnamento attivo nel lavoro.
Né vuol dire, questo, che il mercato del lavoro debba essere governato dal solo
collocamento pubblico; tuttaltro: esso si accompagna liberamente al movimento
spontaneo della domanda e della offerta che sul mercato si confrontano: il collocamento
pubblico opera invece, attivamente, su richiesta dei singoli lavoratori che vogliano
ricorrervi. Il fatto è che non cè dignità della persona se non viene attuato
per essa il diritto a un lavoro riconosciuto, remunerato e produttivo. Questo è il
concetto, ed è lobiettivo, da tenere sempre presente.
Vi è un ulteriore profilo di giustizia distributiva, e alla fine anche di efficienza
economica, che non ci sembra più possibile trascurare. Una visione distorta del libero
mercato, storicamente prevalente in tutto il mondo, riguarda la totale inesistenza di limiti
alle più atroci disparità reddituali generate allinterno delle stesse imprese.
Prevalgono anche in Italia, sia pure in dimensioni complessivamente meno abnormi,
parametri esasperati fino alliniquità, e assolutamente ingiustificabili da tutti i
punti di vista, compresa una reale efficienza economica di lungo andare delle imprese
medesime e del sistema.
Noi non assumeremo come nostro programma lidea, che pure ci viene da uno dei massimi
maestri di economia dellimpresa efficiente e a un tempo equa, e cioè Adriano
Olivetti, laddove affermava che tra lui, massimo vertice della sua azienda, e
lultimo dei suoi operai, il divario di reddito equo reputava essere da uno
a cinque. Lo corresse quel gran liberale, non certo democristiano, che era Valletta,
allora amministratore delegato della Fiat e grandissimo innovatore della vita aziendale,
affermando a sua volta che troppo stretta gli sembrava tale forbice e proponeva per essa
un raddoppio, cioè che fosse portata da uno a dieci.
Noi non assumeremo neanche questo parametro: ma se nel mondo assistiamo a rapporti
inconcepibili, persino di uno a quattrocento e oltre, e in Italia non mancano forbici di
uno a cinquanta e oltre, ci sentiamo in mezzo a una situazione alla lunga insostenibile,
per la quale assumiamo un duplice chiaro riferimento: da un lato il principio che i
parametri retributivi siano parte di una politica trasparente e perciò siano noti
pubblicamente; dallaltro che venga, con gradualità ma con inizio immediato,
stabilito un primo limite: ad esempio, che non possa essere superata la forbice di uno
a venticinque.
Siamo certi che passo dopo passo, anno dopo anno, ci sarà tempo e soprattutto ci saranno
condizioni di serenità per calibrare con il consenso sociale più ampio la misura equa,
senza mai far pensare che puntiamo a logiche di egualitarismo puro e semplice. Sottolineo
che anche questa è la Dottrina Sociale della Chiesa, prima di essere la linea
programmatica della Democrazia Cristiana. Sottolineo che anche questo è il cammino che
costruisce quella economia sociale e civile di mercato che, della suddetta
dottrina, è parte centrale.
Sottolineo che stiamo parlando di reddito personale, non di reddito
dimpresa, sul quale andranno invece considerate con intelligente accortezza le
dimensioni legate alle esigenze di espansione e innovazione più proprie della impresa
stessa, che del resto sono benedette per tutti: lavoratori ed azionisti, persone e
comunità. In particolare attraverso una riduzione dellattuale pressione tributaria
per abbattere il cuneo fiscale e stimolare ricerca e investimenti.
La Democrazia Cristiana è comunque contraria, nello stesso tempo e per lo stesso spirito,
anche a forme di garanzia del reddito che siano scisse da una corrispondente
responsabilità di lavoro produttivo. Non cassa integrazione, dunque, e neanche gli
istituti innovativi definiti in tal senso dalla recente "riforma Fornero", ma
piuttosto lavori utili in logica sostanzialmente e modernamente keynesiana,
intendendo per lavori utili gli investimenti in tutto ciò che possa essere bene comune
effettivo.
Nulla dunque ha da vedere, tutto questo approccio, con forme di assistenzialismo,
verso le quali nutriamo sostanziali dubbi tutte le volte che esse vogliano supplire a una
politica di giusta reciprocità fra cittadino e comunità. La dignità del lavoro,
espressione di una sostanziale parità nella cittadinanza responsabile, potrà in tal modo
accompagnarsi anche con una sostanziale parità di condizione fiscale e previdenziale
senza distinzioni fra categorie: come senza distinzioni ci pare debba essere, in linea di
tendenza, il diritto ad accedere a tutto il campo del lavoro, compreso quello delle libere
professioni, attraverso meccanismi semplificati e trasparenti rispetto a prassi ancora
piuttosto chiuse e per alcuni aspetti vetuste.
Certo è comunque limpresa che, per la consistenza oggettiva della sua dimensione
produttrice di ricchezza complessiva, resta il soggetto centrale per la elaborazione di
una attiva politica del lavoro. Inestimabile valore di una economia dinamica e
progrediente, limpresa deve essere, in questo senso, non solo protetta ma
sostenuta e incentivata nel suo naturale impulso di sviluppo. Punto cardine di una tale
politica ci sembra lo snellimento della burocrazia relativa alle autorizzazioni e ai
controlli.
Se questo è il lato normativo-burocratico della vita dimpresa, sul versante
economico ve nè uno non meno pregnante: limpresa si sostiene e cresce con il
duplice strumento dellautoinvestimento e del credito bancario, come è noto. Anche
sulla politica creditizia finalizzata allo sviluppo dimpresa vi è un particolare
elemento centrale nella cultura democratico-cristiana, che mentre non può, secondo noi,
essere trascurato: è quello costituito dalla idea del risparmio collettivo (dei
lavoratori ma anche degli utenti).
Come è evidente dalle riflessioni che stiamo dipanando, non possiamo nascondere il nostro
interesse privilegiato per la diffusione di politiche favorevoli ai modelli di partecipazione
dei lavoratori nellimpresa, conformemente alla costante tradizione, ancora una
volta, della Dottrina Sociale della Chiesa, ma anche a tantissime esperienze consolidate
nei paesi più avanzati dEuropa, e al dettato dellarticolo 46 della nostra
Costituzione.
A tale riconoscimento del fattore lavoro fa riscontro il dovere ugualmente stringente
del lavoratore, di adempiere con senso di responsabilità il proprio ruolo produttivo. Ed
è evidente, in questo quadro, come anche lesperienza sindacale costituisca un
valore imprescindibile delle politiche del lavoro, quando naturalmente si tratti di sindacalismo
libero e pluralistico, come quello realizzatosi tipicamente nella esperienza della
Cisl italiana e ormai caratteristico di tutto il nostro sindacalismo confederale.
E questa dinamica che consente alla legge stessa di farsi carico con maggiore
competenza di quella garanzia di reddito vitale di dignità per ogni cittadino e per
ogni famiglia, che è da sempre nelle nostre aspirazioni. Non si tratta di una
richiesta avulsa dalle condizioni concrete della ricchezza prodotta dal Paese: nessun
paese può infatti distribuire più ricchezza di quella che produce. Si tratta invece di
unazione costantemente attenta a calibrare il triplice contestuale strumento
della politica occupazionale, della forbice massima fra redditi di lavoro, della
partecipazione dei lavoratori nellimpresa.
Vissuta con tale orizzonte, leconomia complessiva è veramente "amministrazione
della casa comune" finalizzata al "bene comune": che del resto può
assumere diversificate gerarchie in funzione della natura di ogni singolo bene e di ogni
singola persona. Vi sono ad esempio dei beni la cui natura appare anche al buon senso
come collettiva o pubblica e perciò dotata di una legittima aspettativa di fruizione
sostanzialmente paritaria da parte dei cittadini: tali sono ad esempio lacqua,
lambiente, la sicurezza. Tali beni sono essenziali e primari per la qualità della
vita e per essi la presenza della mano pubblica, sia essa quella dello Stato o quella
degli enti intermedi, non può non essere diversa da quella riservata a tutti gli altri
beni, lasciati allautoregolazione semplice del mercato.
Questa parola, chiara e ferma, ci è doverosa per il ristabilimento di una visione che è
stata resa ambigua e infine controproducente da una tendenza superficiale di questi lunghi
venti anni e oltre, favorevole a una semplicistica linea di privatizzazioni, condotta
con indiscriminatezza pari a quella che a suo tempo aveva presieduto agli eccessi opposti
delle statalizzazioni, o regionalizzazioni, o municipalizzazioni.
Il concetto che dobbiamo piuttosto avere sempre presente è quello della distinzione
chiara fra privatizzazione e liberalizzazione: quando si tratta di beni primari
liberalizzare è tendenzialmente un bene, privatizzare è tendenzialmente un male. La
liberalizzazione salvaguarda e stimola anche lintervento privato, la semplice
privatizzazione può tendere a generare monopoli a fini di lucro, tanto più negativi
quanto più riguardino beni appunto essenziali e primari per la dignità della persona.
V - ISTITUZIONI: LO STATO SNELLO PER LA PARTECIPAZIONE SOCIALE
Nelle polemiche interminabili che hanno accompagnato questo tipo di dibattiti
sullassetto delleconomia nazionale negli anni a noi vicini, si è tornati
anche a chiamare in causa, più latamente, una "pesantezza dello Stato"
che non sarebbe in grado di gestire con efficacia altro ruolo che non sia quello di
asettico controllore delle regole che pone, e in nulla o quasi nulla dovrebbe riguardarlo
il merito della regolazione sociale.
Storicamente cè stata, in effetti, in alcuni comparti del sistema economico
italiano, una parte di pesantezza che non era ulteriormente tollerabile perché fonte di
aggravio di costi e contemporaneamente di danno allefficienza.
Oggi è però essenzialmente sul piano burocratico che il concetto di "Stato
snello" compia passi coraggiosi. E infatti valutazione condivisa senza
incertezze che il nostro apparato-Stato abbia raggiunto una dimensione elefantiaca fonte a
un tempo di sprechi e di inefficienze in alcuni casi intollerabili.
La ragione profonda che presiede a queste considerazioni è semplicemente, ancora una
volta, quella che concepisce lo Stato come la organizzazione con la missione di servire
la persona e la comunità ai fini della loro crescente autorealizzazione (art. 2 della
Costituzione). Ed è questa chiave interpretativa che illumina anche le politiche
relative alle articolazioni intermedie non territoriali attraverso le quali si svolge la
vita sociale. Per questo che la Dc tutela la costituzione e la partecipazione dei
cittadini a forme associative e imprenditive nel campo del lavoro come nei campi della
cultura, dei servizi, delle iniziative di cittadinanza, delle tutele dei diritti, e così
via: con lobiettivo di realizzare quel vivace reticolo di vita sociale che possa
andare a coprire la più vasta area possibile della domanda di servizi avanzata dai
cittadini in questi settori. È nella cultura personalistica e comunitaria, connaturata
con la storia del nostro partito, lincoraggiamento attivo di quel "terzo
settore", che può costituire la grande "infrastruttura sociale" nella
quale possono trovare risposta meno burocratica e più densa di motivazioni e calore umano
le domande e i bisogni meno considerati e protetti dalle istituzioni.
Un approccio solidaristico che si esplicita anche in senso geopolitico, con lEuropa
che resta un riferimento che ci aiuta a tenere largo ed aperto lorizzonte, ed anche
un forte laboratorio di buone pratiche. UnEuropa che oggi pone la necessità di un
ritorno allo spirito dei suoi padri fondatori, affinché sia di nuovo, innanzitutto, un
ideale di fraternità con leconomia che segue: questo pensavano infatti De
Gasperi, Adenauer, Schumann, Monnet, Spaak e gli altri fondatori.
Un approccio globale e solidaristico lEuropa deve rivolgere anche verso il Mediterraneo.
Il mare delle tre religioni monoteiste, civiltà antiche che, intersecandosi, e non
ignorandosi, hanno dato al mondo gran parte della civiltà che oggi lo unisce. È presente
in me la suggestione indimenticabile dei "Dialoghi dei Mediterraneo" nella
Firenze, "nuova Gerusalemme", del Sindaco Santo, che chiamava il nostro mare
Lago di Tiberiade.
Questo approccio globale e solidaristico va perseguito e testimoniato, infine, per la
ricerca della pace e dellunità di tutto il pianeta. Messaggio che da Isaia
fino alla Pacem in Terris e alla Caritas in Veritate, il Popolo di Dio
vive come il traguardo finale della settimana storica delluomo che segue la
settimana biblica della Creazione.
VI PASSATO, PRESENTE, FUTURO: IL POPOLARISMO CHE VIVE.
Le considerazioni svolte sollecitano la politica i partiti ad una tensione morale e
culturale superiore a quella attuale, e che possa alimentare anche le loro modalità
interne di organizzazione e di democrazia partecipativa.
Anche il problema del finanziamento dei partiti si pone ormai con evidente urgenza morale.
Nacque nel cuore degli anni 1970 con lobiettivo dichiarato di consentire ai partiti
di "non essere costretti a farsi corrompere", come si disse allora.
Lintenzione era buona ma lesito non fu felice ed è venuto peggiorando nel
tempo.
Non è forse saggio tornare al puro e semplice sistema di "nessun
finanziamento"; lo dico chiaramente "non vogliamo i soldi dello Stato". Noi
preferiamo un sistema che, escludendo qualsiasi esborso di denaro pubblico, assicuri una
normativa semplice, trasparente e facilitata, attraverso la quale ogni cittadino possa
liberamente partecipare al finanziamento del partito nel cui programma si riconosce. A tal
riguardo mi sembra del tutto condivisibile la proposta di legge di iniziativa popolare
promossa dal professor Pellegrino Capaldo.
A fronte dei molti profeti che frettolosamente diagnosticano la fine del partito politico,
a me sembra che esso rimanga lo strumento meno imperfetto, lìunico ancora in grado
di consentire lesercizio della moderna democrazia rappresentativa.
Non va confuso il partito ideologico che guidava le masse della società industriale, con
le nuove forme partito capaci di interpretare e dare rappresentanza alla società
post-moderna nel mondo delle tecnologie informatiche fattosi uno.
Nessuno di noi pensa di rifare quella Democrazia Cristiana, quelle sezioni, quei comitati,
quelle commissioni, quella pletora organizzativa.
La prima delle nostre scommesse è costruire un partito nuovo adeguato alla
società del ventunesimo secolo.
Mi sembra che la evoluzione da mettere in campo abbia, tra le altre, le seguenti
caratteristiche:
.
- a. Un forte snellimento statutario, che infonda trasparenza ed efficacia
allesperienza associativa democratica dei soci, accorciando vertiginosamente la
distanza tradizionale fra vertice e base.
- b. Una quota maggiore di "democrazia diretta", nel senso di un
incremento di peso decisionale degli iscritti, anche attraverso lutilizzo delle
tecnologie telematiche nel determinare la scelta dei singoli dirigenti del partito a tutti
i livelli.
- c. Una mediazione ricca fra il valore fondante della sovranità associativa e la
necessità di un coinvolgimento più pregnante dei mondi esterni che si riconoscono nella
visione e negli ideali democratico-cristiani. Più peso agli iscritti e più peso ai
simpatizzanti, insomma.
d. Una grande rigorosità nellapplicazione della certezza giuridica interna,
con una magistratura di garanzia a sua volta semplificata e velocizzata.
- e. Unattività di formazione permanente per tutti i livelli del partito:
siamo anzi, su questo tema, a buon punto nella formulazione preparatoria di ipotesi che
tengono conto delle esperienze migliori maturate in questi venti anni nel mondo della
formazione politica e sociale.
- f. Infine, una diffusione capillare, sul territorio, di una rete di Circoli Culturali
di Iniziativa Politica: non come luoghi di tessere da contare, ma come luoghi di
aperta elaborazione, di formazione, di competenze e proposte e impegno sui problemi del
territorio.
- g. Riteniamo utile affiancare al partito una fondazione col compito di approfondita e
elaborata ricerca sui temi programmatici e sulle strategie della missione del partito
CONCLUSIONI
Cari amici, questo è, oggi, il mio contributo che, attraverso il dibattito di questi due
giorni e dei giorni che seguiranno, è aperto ad ogni positiva integrazione, correzione,
arricchimento.
Noi siamo qui con il proposito di realizzare insieme il passaggio da una storia antica
ricca di successi ma anche dolorosamente responsabile di errori, verso un futuro che deve
essere altrettanto ricco di successi e meno esposto agli errori. Mi permetto di
aggiungere che rappresento una generazione il cui compito precipuo è, oggi, quello
di fornire buon esempio e buoni consigli, trasmettere esperienza sana e forte, per far
avanzare sul proscenio delle responsabilità sociali, compresa la guida del partito, le
generazioni nuove.
Non è questione di anagrafe: vecchi e giovani hanno dato in tempi e modi diversi esempi
eroici ed esempi deleteri. E invece questione di anima e di effettiva pratica della
democrazia interna. E questa che provvede allimmancabile ricambio fisiologico
della classe dirigente. Una sola condizione occorre, che non sempre abbiamo onorato in
passato: una democrazia interna che vorrei definire, fanciullescamente, semplice e
rocciosa per la sua credibilità. Insieme allimpegno quotidiano della nostra
formazione permanente.
Nessuno deve mai violare la santità delle urne nelle quali i nostri iscritti sono
chiamati a scegliere in coscienza le persone cui affidare la guida del cammino. Con
semplicità e sapienza. Non abbiamo bisogno di altro. Forse, in questo momento, il Paese
non ha bisogno di altro." |
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